martedì 10 gennaio 2012

Le virtù dell'alloro.


L’alloro è uno degli arbusti a noi più familiari, sia come pianta ornamentale sia come pianta aromatica.
Per i Romani il Lauro era un simbolo vittorioso, riservato agli imperatori e agli eroi, e anche i primi cristiani lo usarono raffigurato sulle tombe dei martiri alludendo alla loro vittoria spirituale e alla vita eterna.
Oggi è meglio noto per il suo uso in cucina,sia quando viene usato per insaporire le carni, specie la selvaggina,sia unito al prezzemolo e ad altre erbe in un” mazzetto di odori”.
In passato la foglia dell’alloro aveva molti altri usi: seccate al sole venivano messe in sacchetti per profumare gli armadi e se ne mettevano nelle tasche dei vestiti contro le tarme.
Con le foglie ,fresche o essiccate,se ne facevano infusi e decotti contro il mal di stomaco, la cattiva digestione e come lassativo.
Con le bacche mature ( ottobre-novembre),in Romagna si faceva, e si fa tuttora, un buonissimo liquore digestivo, il Laurino.
Molte erano anche le credenze popolari nei confronti di questa pianta: i contadini ne piantavano spesso vicino a casa perché si credeva che allontanasse i fulmini.
Nelle nostre campagne , inoltre,si traevano auspici sul futuro raccolto bruciando foglie di alloro: se il crepitio era vivace e sonoro, il raccolto sarebbe stato abbondante.
Ricetta del Laurino:

100 gr di bacche mature e qualche foglia
500gr di zucchero
½ litro di alcool a 90°
½ litro di acqua

Frantumare metà delle bacche e metterle insieme alle altre nell’alcool per 6 settimane. Preparare uno sciroppo con l’acqua e lo zucchero e, quando si sarà raffreddato, unirlo al liquore ben filtrato .
Prima di berlo, lasciarlo invecchiare alcuni mesi, anche un anno.

Il liquore si può fare anche con le foglie.
40 foglie di alloro
600 gr di alcool a 90°
500 gr di zucchero
500 gr di acqua
Mettere in infusione le foglie nell’alcool per 40 giorni , al buio, in un recipiente di vetro chiuso ermeticamente, poi aggiungere lo sciroppo di acqua e zucchero, lasciare il tutto ancora una settimana e filtrare. Ottimo bevuto gelato.

sabato 7 gennaio 2012

Gennaio nei proverbi.



Gennaio nei proverbi è ricordato spesso come il mese più freddo, gelido addirittura, dell’anno.
“Znèr nivèr”, nella sua concisione ci ricorda che è mese in cui sovente nevica, anche se oggi molto meno di un tempo, e la neve era sempre auspicata ,perché” “Se e’ bòfa ad znèr, u s’rimpès e’ granèr!
Se gennaio invece si presenta bello e asciutto, allora il proverbio ci avvisa che “Guardati da un buon gennaio, che ti farà piangere febbraio”, e anche” Porbia ad znèr ,in primavera mèl”.
In gennaio in campagna si fanno pochi lavori, uno dei quali è la potatura delle viti, lavoro consigliabile in luna calante, da non rinviare, come dice il proverbio “ Luna dei grappoli a gennaio, luna dei racimoli a febbraio”.
Anche per le galline gennaio è un mese favorevole, infatti adesso ricominciano a fare le uova dopo il periodo della muta e:“ Par l’an nòv, tott al galòini al fa l’òv” , e anche“Gennaio ovaio”o “Non c’è gallina ne’ gallinaccia, che di gennaio l’uovo non faccia”.
I santi del calendario tracciano il percorso del gelo di gennaio con vari detti e proverbi : “Per San Bas-cèn, e’ trema la couda enca me chèn”( per San Sebastiano, trema la coda anche al cane)e
una volta i contadini si consolavano e auspicavano la fine del freddo dicendo: “ Il barbato, il frecciato, il mitrato, il freddo se ne è andato” .
Il barbato è sant’Antonio, il 17; il frecciato san Sebastiano il 20, e il mitrato San Biagio, ricordato il 3 febbraio,che, nelle speranze di tutti,doveva portare verso un tempo più clemente, speranze spesso disilluse da un altro proverbio che diceva: “A San Vincenzo”28 gennaio ,”l’inverno mette i denti”.
Ma questo proverbio veniva contraddetto da quello della conversione di San Paolo , il 25 gennaio , perché:”Par San Pèval, e’ giaz l’è a ca de gèval”.( per San Paolo, il ghiaccio è a casa del diavolo, cioè ha ormai allentato la sua morsa).
Il giorno di San Paolo una volta era considerato giorno di presagio per pronosticare il tempo, non solo in senso meteorologico, ma anche più in generale.
San Paolo “dei segni”,nel sapere popolare, aveva molti seguaci, e si diceva che: “Se spira il vento o cè nebbia nella notte della conversione di San Paolo è segno di cattive nuove e di malattie, anche nelle bestie, mentre se il tempo è buono è segno di abbondanza e prosperità”.
I contadini ,perciò,avevano molta fiducia in San Paolo “dei segni”, come del resto ci ricorda il proverbio: “No badè a calèndar e calandròn, ma guardè che e’ dè ad San Peval e’ sia bòn”.

mercoledì 4 gennaio 2012

La Pasquetta.



L’Epifania , divenuta nel calendario liturgico la presentazione di Cristo ai Magi,era anticamente la data di chiusura delle “dodici notti” dedicate al passaggio dell’anno , nel periodo successivo al solstizio d’inverno.
E’ dunque un “capodanno”,e, come ogni “capo dell’anno”, è colma di sortilegi , uno dei quali è la facoltà di parola degli animali, come spiegano due proverbi: “La notte di Pasquetta parla il chiù e la civetta” e “La notte di Befana nella stalla, parla l’asino, il bove e la cavalla”.
La mattina dell’Epifania, una volta ,quando imperava la superstizione, era usanza recitare alcune formule rituali, magari di mattina presto celati dietro una siepe ai margini di un crocevia, per captare, non visti, le parole dei primi passanti e trarre da esse auspici e pronostici.
Uno di questi detti recitava :

Pasqua, Pasquina, Pasquetta,
Ch’à vnì tre volti l’àn,
Cs’am suzdràl enca st’àn?
(Pasqua, Pasquina e Pasquetta che venite tre volte all’anno cosa mi succederà anche quest’anno?)

Il richiamo alle tre Pasque indica le tre feste indicate con questo nome: Pasquèta l’Epifania, Pasqua granda la Pasqua di resurrezione e Pasqua ròsa la Pentecoste.
L’Epifania chiude il ciclo festivo apertosi col Natale , come ricorda il detto:

Pifanì
Tot al festi la mena vì,
la li mèt int una casa,
la li mòla sol per Pascva,
u n’amòla qualcadòna
San Jusèf e la Madona.
(Epifania tutte le feste porta via,le mette in una cassa, le libera dopo Pasqua,ne liberano qualcheduna San Giuseppe e la Madonna)

Come si vede il Carnevale, seppure amato dal popolo,non è ricordato: era una festa invisa alla Chiesa e quindi esclusa dalle feste riconosciute.

venerdì 30 dicembre 2011

Buona fine e buon inizio.



L’ultimo giorno dell’anno la Chiesa l’ha dedicato a San Silvestro, il Papa sotto il quale l’Impero Romano da pagano divenne cristiano.

Come in tutte le feste che cadono nel periodo solstiziale, come leggiamo nel Lunario di Cattabiani ,anche a Capodanno si traggono presagi per l’anno venturo.
Per esempio in molte parti d’Italia si dice che se l’anno comincia di mercoledì o di domenica sarà buono, di venerdì cattivo…
Quanto agli anni,i pari porterebbero un raccolto abbondante, mentre sarebbero sfortunati quelli in cui compare il sette , un suo multiplo o il numero tredici.
Riti usati e abusati sono l’uso di mangiare noci, uva e lenticchie, indossare qualcosa di nuovo o di rosso,baciarsi sotto il vischio.
In quanto al primo giorno dell’anno, un tempo si stava molto attenti alla prima persona che si incontrava per strada : non doveva essere una donna , o un povero o un vecchio, perché erano presagi infausti.
Anche l’anno bisestile era considerato poco propizio, e dicevano: “quando l’anno vien bisesto,non fan bachi e non fanno innesto”.
Una volta, nelle campagne ,la mattina presto del primo giorno dell’anno era facile trovare gruppi di
bambini che andavano casa per casa a “dè e’ bòn àn”…
Bussavano alle porte dicendo: “bon dè, bon àn, la fortuna par tòt l’àn”e in cambio degli auguri ricevevano qualche dolce, qualche noce o un soldino.

mercoledì 28 dicembre 2011

Sua Maestà il Maiale



Una volta l’uccisione del maiale avveniva solitamente tra il 13 dicembre, San’Andrea ,e il giorno di Sant’Antonio Abate, anche se qualcuno preferiva farlo nel periodo di Carnevale.
Il consumo delle carni, o meglio, di tutto il maiale, non ha mai avuto momenti di stanca.
Dai Romani in poi, lo si continua a cucinare in tutti i modi, e lardo e strutto sono stati usati come condimento fino ai nostri giorni, anche se oggi molto di meno.
Il primo trattato sui salumi italiani la dobbiamo agli storici del XVI sec. Teofilo Folengo e Tommaso Garzoni,che annotano nella loro mappa le soppresse napoletane, le salsicce toscane,il salame piacentino,la mortadella cremonese diversa da quella modenese che veniva stufata e si mangiava con legumi e frutta macerata….
Alcune ricette antiche si sono salvate,altre col tempo e con l’avvento di nuove mode e nuovi appetiti si sono dimenticate, come l’usanza di lessare il maiale, tanto che il brodo “lardiero”si è ormai perso nei secoli sei secoli.
Negli ultimi decenni anche il sangue del maiale non viene più utilizzato come una volta per sanguinacci cucinati a tocchetti con la cipolla come in Romagna o in saporite schiacciate come in Toscana.
Oggi , anche nelle campagne, sono rimasti in pochi a “smettere” il maiale in casa per conto proprio, è un lavoro complicato , ci vuole spazio e anche un luogo idoneo per conservare i salumi e i prosciutti.
Adesso non c’è più la necessità di fare una scorta di cibo per tutto l’anno come avveniva al tempo dei nostri nonni:allora uccidere il maiale era una vera e propria faccenda di sopravvivenza, perché era quasi la sola carne, insieme a qualche gallina o coniglio, che assicurava un buon nutrimento quando si cominciavano i lavori faticosi da aprile in poi.

domenica 25 dicembre 2011

La data del Natale



Secondo la tradizione, il Cristo sarebbe nato il 25 dicembre del 743° anno dalla fondazione di Roma, considerato il primo della nostra era.
Ma quando Gesù sia effettivamente nato non lo sapiamo.
Nel Lunario di Cattabiani viene comunque evidenziato il fatto che il giorno 25 dicembre non è storicamente sostenibile ,perché nel Vangelo di Luca si racconta che in quel periodo nelle campagne di Betlemme alcuni pastori vegliavano di notte facendo la guardia al gregge.
Siccome i pastori ebrei partvano per i pascoli all’inizio di primavera tornando in autunno, è evidente che il Cristo nacque tra la fine di marzo e il primo autunno; tant’è vero che fino al principio del IV secolo il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi,o il 28 marzo o il 18 aprile o il 29 maggio.
Quella del 25 Dicembre è una data convenzionale: nella seconda metà del III secolo si affermò nella Roma pagana il culto del Sole e in suo onore l’imperatore Aureliano aveva istituito una festa al 25 dicembre, il Natalis Solis Invicti.
Questo Natale del Sole Invitto celebrava il nuovo “Sole rinato” dopo il solstizio invernale con giochi e cerimonie grandiose.
Molti cristiani erano attirati da queste cerimonie spettacolari , così la Chiesa Romana, preoccupata che questi riti oscurassero la diffusione del cristianesimo , pensò bene di celebrare nello stesso giorno il Natale del Cristo.
La festa, già documentata dei primi decenni del secolo IV,si estese, a poco a poco, al resto della cristianità.
Ma nel secolo V il Natale del Sole Invitto era ancora vivo, tant’è vero che papa Leone Magno ammoniva i fedeli a non partecipare ai suoi riti pagani e a non inchinarsi all’astro , come facevano in molti, prima di entrare in chiesa.

domenica 18 dicembre 2011

le filastrocche di Natale.



In molte famiglie, una volta,per Natale, si insegnava ai bambini di recitare dei sermoni o ,come le chiamavano in Romagna,“al pasturèli” ,per averne poi premi o regali.
Ecco due esempi di queste antiche filastrocche :

La mi mama per Nadèl
La m’à prumess e’ pèn spezièl,
di zucarèn e dal zambèli
e tènt ètar robi beli.
La mi à prumess a cundiziòn
Ch’imparess un bel sarmòn.
Tota nòta a l’ò sugnè
Stamatena am so livè
E’ sarmòn a l’ò imparè.
A j ò det e mi sarmunzèn
Mama, cl’la mi daga i zucarèn.

La mia mamma per Natale/mi ha promesso il pan speziale/zuccherini e ciambelle/e tante altre cose belle/.Mi ha promesso a condizione / che imparassi un bel sermone/.Tutta notte l’ho sognato/, stamattina mi sono alzato/ il sermone l’ho imparato/.Ho detto il mio sermoncino/ mamma mi dia lo zuccherino.

Sta nota a mezanòtt
Un’ora a nènz e’ bòt,
l’è ned un Bambinèl,
tra e’ bò e l’asinèl.
Con e’ su fiè lò i l’arischèlda,
San Jusèf l’è lè che guerda;
la su mama la l’fàsa,
la i strènz i su pinèn
Gesù mio, che bel Bambèn!
A l’è d’intòran tot fa ligrèza,
tot adòra e Bambinèl;
i pastùr i sona la piva,
la piva e ancora e pivèn,
i fa ligrèza a e’ bel Bamben.
E’ sarmòn a l’ò finì:
la mi mama ,dèm un bajoch,
o dasiman du, se un l’è tròp!

Stanotte a mezzanotte/un’ora prima del tocco/ è nato un Bambinello/ tra il bue e l’asinello/.Con il loro fiato lo riscaldano/,san Giuseppe è lì che lo guarda, la sua mamma lo fascia/ gli stringe i suoi piedini/: Gesù mio, che bel Bambino./ Lì intorno tutti fanno festa,/ tutti adorano il Bambinello/,i pastori suonano la piva/ la piva e lo zufolino/ fanno festa al bel Bambino./ Il sermone l’ho finito/
Mamma datemi un baiocco/ o datemene due, se uno vi sembra troppo.

venerdì 9 dicembre 2011

La cinciallegra.



La cinciallegra è il tipo di cincia che in giardino si vede più frequentemente, soprattutto in autunno e in inverno, quando, insieme ad altre specie di cince ,si esibiscono in un vero e proprio spettacolo di acrobazie e volteggi velocissimi.
La cinciallegra è la più grande delle cince ( arriva a una lunghezza di 15 cm ),il suo canto è semplice e le sue note limpide e chiare assomigliano a suoni di campanellini.
Le cince difendono il loro territorio tenacemente e il maschio , se vuole conquistare una femmina, le mostra tutti i luoghi possibili del suo territorio dove è più idoneo e sicuro nidificare.
E’ la femmina che alla fine sceglie,così come è sempre lei che fa il nido, dove deporrà da 6 fino a 14 uova.
E quando nascono i piccoli, ecco che comincia il vero e duro lavoro per i genitori: quello di fare avanti e indietro anche più di 600 volte al giorno per sfamare i figlioletti.
La cinciallegra si ciba di insetti e delle loro larve, di ragni,di piccoli lombrichi e di semi ,bacche e frutti vari.
Nei nostri giardini sarà più facile vedere saltellare le cinciallegre in terra o nel prato, al contrario delle cinciarelle che invece si vedono più spesso in equilibrio sui rametti degli alberi mentre becchettano qualcosa a testa in giù.