domenica 1 agosto 2010

I birocciai , padroni delle strade bianche



Uno dei tanti mestieri scomparsi ormai da molti decenni è quello del birocciaio, un lavoro duro,come era dura la vita per molti lavoratori a quei tempi.
Quella del birocciaio era vita di disagi, di caldi, di freddi ,di nottate insonni: ad ogni stagione si levava ad ore impossibili per caricare il trasporto ,per preparare l’attacco delle bestie ,e poi via per il viaggio sulle strade bianche che spesso durava molte ore da farsi col sole o con la pioggia, con la nebbia e col gelo.
Quando invece il birocciaio faceva trasporti regolari seguendo giorno dopo giorno lo stesso itinerario e le stesse soste, i cavalli,i muli e i somari del traino conoscevano anch’essi la strada e si fermavano da soli anche senza bisogno di ordini e questo valeva soprattutto per le fermate alle osterie, tappa obbligata per un bicchiere di vino.
C’erano barocciai che, invece, facevano trasporti occasionali e i loro itinerari cambiavano come cambiavano le merci, e spesso nel buio e nella nebbia percorrendo strade dissestate e strette perdevano il controllo delle bestie e il carico si ribaltava .
Quando questo avveniva era una tragedia, perché in certi luoghi e in certe ore le strade erano deserte e se c’erano danni o ferite non c’era modo di avere soccorsi.
Di notte, soprattutto,salvo casi eccezionali di qualche viandante o di un medico condotto chiamato d’urgenza,le strade erano soltanto dei birocciai.
Procedevano nel buio accompagnati solamente dal chiarore del lume a petrolio che oscillava legato sotto il carro e cercavano di tenersi svegli fischiando melodie e motivetti conosciuti e inventati e schioccando la frusta ogni tanto.
Tutto il trasporto merci era fatto dai birocciai a traino bovino ed equino, ogni tipo di derrata che arrivava nelle città e nei paesi dai porti, dalle stazioni o dai mercati era smerciato su carri e birocci e fu sempre così fino all’avvento dei primi camion.
La figura del birocciaio ha ispirato anche Giovanni Pascoli ,che nella bella poesia “L’asino”, racconta del pescivendolo Schiuma di Bellaria che si addormenta, dopo aver fatto il suo giro, nei pressi di Sogliano ,di sera, sulla via del ritorno a casa,
Stanco del viaggio si addormenta e sogna felice le tappe che via via lo porteranno verso la sua capanna e il suo mare e allora anche l’asino si ferma :per riposare un poco anche lui e per lasciare che l’uomo sogni in pace la sua corsa verso casa.

4 commenti:

  1. Una curiosità che ho imparato proprio questa sera e che voglio condividere: sembra che proprio dai birocciai nasca il mito degli "s'ciocaren"...
    Partita nel lontano quarto secolo a.c. con l'avvento dei Galli in Romagna e poi nel XVII secolo quando le coste romagnole furono invase da predoni provenienti dalla Dalmazia che a cavallo e con potenti schiocchi di frusta, terrorizzarono le popolazioni della riviera.
    Questa usanza è stata poi portata avanti dai
    birocciai (carrettieri) che, durante i loro lunghi viaggi facevano schioccare la
    frusta per passatempo. E' proprio da qui che nacquero le prime sfide e sfilate competitive: ecco perché, proprio in Romagna, questa usanza si è mantenuta nel corso dei secoli ed è stata notevolmente perfezionata.

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  2. Per completare quanto Milena ha puntualizzato, vi dirò che in molti si chiedono ancora come possa una frusta emettere un "ciocco" tanto potente da fare le veci di uno strumento musicale.
    L'emissione del simpatico rumore avviene quando la velocità di rotazione supera la barriera del suono, cioé i 1200 km orari. Ma come sia nata la tradizione dei frustatori in Romagna é un mistero ancora più oscuro. Occorre risalire ad epoche assai remote e culture ormai tramontate per rintracciare le origini. Pare che, all'epoca di Troia, le corse dei cavalli (Ludus Troiae)prendessero il via con un colpo di frusta e che le tribù galliche utilizzassero frequentemente questo strumento. Ne é la prova il nome di una città della Francia, territorio da cui i Galli presero le mosse: Parpignan non é soltanto il toponimo di un comune d'Oltralpe ma anche il nome con cui i Romagnoli definiscono il manico dell'oggetto. I Romani stessi ereditarono il costume di ricorrere alla frusta per avviare spettacoli e giochi.Ma é soltanto nel '600, quando la costa adriatica fu invasa dagli Uscocchi che i Romagnoli appresero l'arte dello "sciucaren" . Provenienti dalla Dalmazia, i predoni slavi intimidivano le genti autoctone schioccando la frusta in sella ai loro cavalli. Furono poi i birocciai della Romagna a trasformare il monito bellico in giocoso richiamo: essi si divertivano a tenere il ritmo dei ronzini mentre viaggiavano tra una provincia e l'altra. Anche il loro animo scandiva il tempo delle fruste, con le quali segnalavano al vicinato l'imminente ritorno a casa.Oggi la disciplina degli sciucaren mette insieme l'autorevolezza degli Slavi, la giocosità dei Troiani e dei Romani e la saggezza dei birocciai, sposandosi con la musica e con la danza folcloristica della nostra terra.

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