sabato 30 aprile 2011

Il pioppo del primo maggio.



Il primo giorno di maggio i contadini un tempo si alzavano presto e andavano a tagliare alcuni rami dalle piante vicino casa: olmo, pioppo, gelso,faggio.... preferivano però il pioppo; i ramoscelli li mettevano alle finestre con inferriate a piano terra , nelle lunette delle porte di cucina e delle stalle e li tenevano tutto il mese, era il loro rimedio tradizionale per scacciare le formiche dalle case.
Anche nelle piazze di molti paesi una volta si “piantava il Maggio”, cioè si alzava un pioppo adorno di nastri , forse il residuo di antichi riti propiziatori della fecondità ,che avevano come protagonista l’”Albero della Vita”.Fino a qualche decennio fa in Romagna "la piòpa" del primo maggio aveva in cima un drappo rosso e nel pomeriggio di questo giorno c'erano cortei di carri agricoli e molti uomini portavano all'occhiello un garofano rosso....così si onorava la "Festa del Lavoro".
In molte località anticamente si tenevano le ormai dimenticate feste di Calendimaggio, durante le quali nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio gruppi di canterini e suonatori giravano da un angolo all’altro delle campagne e dei paesi cantando serenate e stornelli.
In molte zone della Romagna in questo giorno alle belle ragazze, i pretendenti e i fidanzati erano soliti regalare“Il Maggio”, cioè portavano in regalo rami fioriti di biancospino, mentre a quelle vanitose e incontentabili disegnavano delle civette sulle porte o sul marciapiede davanti casa.
Invece ai bambini, una volta a scuola si insegnava una canzoncina che dice:

“Sulla cima di quel faggio
canta canta il cardellino,
con quel canto tenerino
par che dica:” Venga Maggio!”
sulla cima di quel faggio....

lunedì 25 aprile 2011

Il Lagotto Romagnolo.



Il Lagotto Romagnolo “rinasce” soltanto nel 1995,nonostante su cani di questo tipo esistano testimonianze risalenti al 1400, quando viene riconosciuto ufficialmente come tredicesima razza italiana, attribuendogli la denominazione di “cane da Tartufi”.
Descritto come aspro e ricciuto, ma anche giocoso, il Lagotto nasce come cane da riporto nella caccia in palude e in generale in ambienti acquatici.
La bonifica della pianura Padana , sua area d’origine, pone fine nel tempo alla caccia in palude e il Lagotto sopravvive trasformandosi in un appezzato cane da tartufi.
Per questa attività serve un fiuto eccezionale , ma anche una notevole predisposizione all’apprendimento e una grande capacità di lavoro in coppia con l’uomo, tutte qualità che nel Lagotto sono innate.
Ha inoltre un carattere curioso, è tranquillo ma non per questo distratto, segnala per tempo l’arrivo di estranei , siano persone o animali ,e si affeziona a tutti i componenti della famiglia ma soprattutto ai bambini.
E’ in sostanza un ottimo compagno ,divertente e di carattere allegro e soffre di solitudine se lo si lascia solo troppo a lungo, anche se preferisce avere in casa un angolino riservato per i suoi momenti di riposo.

mercoledì 20 aprile 2011

La preghiera del Venerdì Santo.



Durante la Settimana Santa un tempo si compivano diversi riti religiosi che ormai sono caduti nel dimenticatoio.
Una delle pratiche devozionali che possiamo includere nei riti di purificazione era quella del digiuno: chi non faceva “la trapassata”, che consisteva in un digiuno totale dal giovedì al sabato santo,osservava almeno quello del venerdì santo ,fino al momento in cui le campane venivano slegate, la mattina del sabato.
La mattina del venerdì santo, invece, le ragazze potevano chiedere una grazia recitando in ginocchio , per trentatré volte di seguito una preghiera che è la rappresentazione stessa della Passione di Cristo e del dolore della Madonna .

L’uraziòun de’Vendar Sènt.

L’uraziòun de’Vendar Sènt,
la Madona la fa un gran piènt,
un gran piènt e un gran dulòur,
questa l’è la passioun de nost Signòur:
questa l’è la cròusa, quest l’è e’ lègn,
du ch’l’è mort e’ nost Signòur dègn.
S’u i foss una quelca verginèla,
a znòcc nud in tla tera consacrèda,
la grèzia ch’la dmandarà l’ai sarà ben dèda.


L’orazione del Venerdì Santo,
la Madonna fa un gran pianto,
un gran pianto e un gran dolore,
questa è la passione di Nostro Signore:
questa è la croce, questo è il legno
dove è morto il Nostro Signore degno.
Se ci fosse una verginella
In ginocchio sulla terra consacrata
La grazia che chiederà sarà ben data.

domenica 17 aprile 2011

Le virtù delle erbe.



In ogni parte della nostra campagna, lungo i sentieri, nei prati e nei boschi non toccati dalla civiltà meccanizzata, vivono moltitudini di piante e erbe commestibili dotate di preziose proprietà.
E’ questo il momento buono per approfittarne e per dare sapore alla cucina di tutti i giorni.
Il guaio è che ormai pochi sanno riconoscere le erbe buone da quelle che non lo sono: di scarpigni, rosole, stridoli , ortiche e borragine se ne è persa conoscenza, se non tra i “meno giovani” abitanti della campagna.
Per fortuna che da noi tra i banchi del mercato ancora si trovano dei verdurai che vendono le erbe di campagna, perché altrimenti non si saprebbe nemmeno dove andare a cercarle e di crescioni con le rosole se ne sarebbe persa la memoria.
Però,in mancanza di erbe spontanee, possiamo approvvigionarci attingendo alle erbe coltivate ,che ogni buon orto dovrebbe contenere.
Per esempio non dovrebbero mancare le bietole , gli spinaci ,i radicchi e i ravanelli dei quali si usano le foglie cotte, per minestre e risotti.
Anche le erbe aromatiche non dovrebbero mancare, non solo salvia e rosmarino,perfetti con l’aglio , per condire la carne ai ferri, ma erba cipollina per insaporire frittate, formaggi teneri e minestre, e menta da aggiungerne qualche foglia all’insalata mista.
Inoltre il rosmarino tritato finissimo si può mescolare alle uova e alla farina per preparare dei tagliolini dal gusto vivace e le foglie di salvia passate nella pastella e fritte sono di grande effetto e di gusto particolare.
E poi basilico ,prezzemolo ,finocchio selvatico, timo…..tutte le erbe aromatiche sono grate al gusto, all’olfatto e anche alla vista ,perché i piatti diventano più piacevoli, invitanti e curiosi.

mercoledì 13 aprile 2011

Quando l'acqua del Marecchia si beveva.



Prima degli anni sessanta, l’acqua del fiume Marecchia era chiara e pulita, le donne vi andavano a sciacquare i panni e tutti quelli della campagna che abitavano lungo le sue rive, la sera,d’estate, vi andavano a fare il bagno .
In tanti vivevano del lavoro sul fiume: gli spaccapietre per primi, seduti al sole sui loro mucchi di sassi ,intenti a romperli a forza di colpi di martello , pieni di ferite per le scheggie che volavano e solo con una retina per proteggere gli occhi.
Poi c’erano i birocciai che caricavano sabbia e ghiaia e attraverso vecchi sentieri e stradine bianche scendevano fino in mezzo al fiume.
C’erano gli sbadilatori , che delimitavano la propria zona di lavoro con dei grossi sassi dopo le grandi e terribili fiumaneche portavano giù tonnellate e tonnellate di materiale :il prelievo allora moderato che ne veniva fatto non danneggiava il fiume, che aveva il letto piano, e l’acqua , anche se poca, scorreva sempre.
Poi negli anni sessanta , essendo aumentata la richiesta di materiale per l’edilizia, hanno cominciato a scavare in maniera esagerata, arrivarono gli industriali che installarono cave meccanizzate con le draghe ,e i carrettieri , venduto il cavallo o il mulo, si affrettarono a comprare i camion.
Lungo il corso del Marecchia si contarono in quegli anni diciassette/ diciotto draghe, e l’opera fu devastante:in certi punti vi fu un abbassamento di 10 metri , molte sponde cedettero e anche il crollo del vecchio ponte nel dicembre 1961 fu imputato allo scalzamento delle basi dei piloni centrali.
Solo nel 1976 una legge Regionale ha bloccato le escavazioni entro il letto del fiume e questo è stato un bene,ma da allora molte zone sono totalmente abbandonate, senza manutenzione , il letto è pieno di ammassi di legname, di canneti e porcherie varie.
Difficilmente nel Marecchia si potrà tornare a berne l’acqua ,come facevano i carrettieri, tanto era pulita: da maggio in avanti, fino a novembre, bastava inoltrarsi di qualche metro, fare un buco col badile nella ghiaia e sgorgava l’acqua limpida , bastavano tre metri di ghiaia e pietrisco per filtrarla perfettamente.

venerdì 8 aprile 2011

Quando non si buttava via niente!



Rileggendo in questi giorni “ Il gattopardo” , nella scena iniziale nella quale la grande famiglia del Principe di Salina si ritrova a cena ,nella descrizione dell’ambiente risalta la tavola”ricoperta da una rattoppata tovaglia finissima”….
E allora mi sono venuti in mente i rattoppi di ogni sorta che da bambina vedevo su qualsiasi tipo di tessuto in giro per casa, fossero pure vestiti o biancheria .
Mia nonna era una maniaca del rammendo , tutte le sere praticamente le passava a rammendare ,e ricordo certi lenzuoli che erano contrassegnati da toppe quadrate a nascondere buchi ormai troppi grossi da rammendare : questi lenzuoli di solito toccavano a noi bambini e quanto fastidio davano quelle grosse cuciture, nel letto!
Allora vigeva la legge di non comperare mai il nuovo se prima non si era consumato il vecchio!
Questa legge era praticamente osservata da tutti, abbienti e non abbienti ,ma soprattutto nelle campagne, tra contadini e mezzadri, dove tutto si riparava: pentole, caldari,testo per la piada, orci ,impagliature,attrezzi ,zoccoli, scarpe e vestiti.
Anche un chiodo storto si conservava e veniva raddrizzato con pazienti colpi di martello , anche i pezzi di spago ,gli stracci ,i bottoni….
Mia nonna aveva una scatola di latta piena di bottoni di ogni genere di cui andava orgogliosa, noi a volte avevamo il permesso di aprirla sotto la sua sorveglianza e sembrava uno scrigno di tesori, bottoni i più strani, riutilizzati chissà quante volte.
E l’abitudine poi di rivoltare i vestiti e i cappotti, con tutto il tempo che immagino occorresse per scucire e ricucire, e di riutilizzare la lana guastando le maglie vecchie, o l’ingegnoso metodo degli “scapini”, la soletta delle calze da lavoro , che quando era consumata si scuciva e se ne applicava una nuova……
Cose di un passato mica tanto lontano , dove il risparmio si insegnava fin da piccoli e dove noi bambini eravamo capaci di inventarci giocattoli con pezzi di legno ,stracci e carte colorate ,o aquiloni stupendi con la carte velina e le stecche di canne del nostro canneto tagliate sottilissime , il tutto incollato con la colla di farina......

lunedì 4 aprile 2011

T'a t'arcord ch'us che giva e' non?


Ho trovato per caso questa poesia : non so chi ne sia l’autore ma la voglio pubblicare qui sul blog perché è veramente bella e sembra pensata da un contadino, quelli di una volta che lavoravano a forza di braccia e si alzavano ogni mattina all’alba.


- T’a t’arcòrd ch’us che giva e’non?
- E’ non?
- Mè Signour u i n’è andè parèci dal ròbi sbajèdi!
- Per esempi?
- Per esempi la tèra, cla j’è tròp da bas:
- E l’è una fadoiga lavurèla….
- Se pu la j’è muceda !!!
- E pu l’auròura!...
- Ch’u la j’à fata tròp prest,
- Quand che la zenta i n’è tal cundizioun
- Ad putòila guardè.
- Se tè t putès avdòi
- Proima de Starlot,
- Ch’al nòvli niri niri ,
- Ch’al fa pavèura!
- E pu ch’al dvènta rosa e pu ròssi….
- E pu e vèn e’ sòul,
- Ch’u t dis cl’è arvàta un’enta zurnèda,
- E cla j’è benedèta!


Ti ricordi cosa diceva il nonno-Il nonno?-Al Signore molte cose non sono riuscite bene-per esempio?- Per esempio la terra, che l’ha fatta troppo in basso -ed è una fatica lavorarla-
Se poi è ammucchiata!!!-E poi l’aurora,-che l’ha fatta troppo presto-quando la gente non è in condizioni- per poterla vedere.-Se tu potessi vedere- prima della Stella del mattino-quelle nuvole nere- che fanno paura!- e poi diventano rosa e poi rosse-e poi viene il Sole-che ti dice che è arrivato un nuovo giorno,- e che è benedetto!.