mercoledì 27 luglio 2011

L'amicizia nei proverbi



Sapere di poter contare , in caso di bisogno o di tristezza, sull’appoggio di un amico, non ha prezzo….Infatti “Chi trova un amico, trova un tesoro”, recita il proverbio più citato,insieme ai seguenti detti: “E’ nelle sventura che si conoscono gli amici” e “ Gli amici si riconoscono nel momento del bisogno”.
Forse gli amici si riconoscono bene in quei casi perché restano in pochi e i più se ne scappano,tanto che sono in numero molto maggiore i proverbi che mettono in guardia contro coloro che si dichiarano amici ma non lo sono veramente.
Infatti bisogna evitare come la peste chi si dimostra amicone di tutti perché “Chi è amico di tutti è amico di nessuno”, oppure chi è frustrato e malcontento, perché” E’ male amico chi a sé è nemico”, e allora è meglio stare a vedere se “amico di buon tempo, mutasi col vento”.
E’ sempre meglio andarci con i piedi di piombo anche negli affari, perché”Cessato il guadagno, cessata l’amicizia”, e non sempre poi”Con un amico a lato, ogni guaio è sistemato”…..
Un proverbio contadino dice” Ognuno è amico di chi ha un buon fico”, come a dire che l’amicizia gratuita difficilmente si può ottenere, tanto che è meglio non illudersi e tenere in mente il proverbio che dice: “ Parla all’amico come se avesse a diventar nemico”.
Insomma, pur con mille cautele, però un amico vero è una fortuna, tanto che” Meglio un amico che cento parenti, pur ricchi e potenti”.

venerdì 22 luglio 2011

Il rosmarino.



Il rosmarino è pianta venerata fin dall’antichità da egizi, greci e arabi ,che ne han fatto grande uso sia in farmacopea sia durante i riti religiosi , sino alle pratiche magiche.
Botanicamente è un arbusto sempreverde ,alto allo stato spontaneo anche due metri, con foglioline odorose,aromatiche ,e con fioritura azzurro-lilla.
Per le sue origini mediterranee il rosmarino è un arbusto non propriamente rustico se non in determinate situazioni, ed infatti,osservando i grandi rosmarini nelle aie o nei cortili di campagna, possiamo notare come essi siano sempre posti al riparo di un muro , o al margine di una scarpata in posizione assolata e calda.
Sul rosmarino sono fiorite tutta una serie di credenze sul suo influsso benefico: nelle campagne bolognesi si pensava che i suoi fiori, messi sotto il letto, avrebbero allontanato i brutti sogni , mentre molti hanno sempre sostenuto che il suo profumo potenziava la memoria.
Era usato in unguenti e pozioni per rinvigorire le forze e fare impacchi per vari mali, oltre a farne un’acqua distillata contro l’astenia e la tristezza .
Dal rosmarino viene estratto ancora oggi un olio essenziale indispensabile per l’industria,che lo adopera in farmacologia, in profumeria e in cento applicazioni diverse.
Il rosmarino, oltre che per insaporire molte pietanze e arrosti, può essere usato per una bibita molto dissetante per l’estate, insieme al succo di limone.
Occorrente:
1litro d’acqua
4 cucchiai di zucchero (oppure la quantità a piacere)
12 cucchiai di succo di limone ( circa 4 limoni succosi)
1rametto di rosmarino
1 limone a fettine
Mettere l’acqua in un pentolino con lo zucchero,1cucchiaio di foglie di rosmarino e 3 cucchiai di succo di limone .Portare ad ebollizione e far sobbollire a fuoco basso per 10 minuti.
Unire il resto del succo di limone ,filtrare, far raffreddare e mettere in frigorifero.
Servire la bibita ben fredda con una fettina di limone e un ciuffetto di rosmarino fresco.

mercoledì 13 luglio 2011

Antichi mestieri: il cordaio.



Un tempo, quasi in ogni paese del nostro circondario,vi era uno o più fabbricanti di corde, mestiere che a San Mauro è sopravvissuto fin dopo la seconda guerra mondiale.
Le nostre erano terre in cui di coltivava molta canapa, e perciò la materia prima era a portata di mano.
La fibra più grezza,ricavata dalla “pettinatura” dei fasci di canapa,era usata appunto per realizzare le funi, operazione che richiedeva pochi attrezzi rudimentali e uno spazio all’aperto in cui lavorare.
Nel mondo contadino si lavoravano le corde per uso familiare, ma il lavoro del cordaio era un vero e proprio mestiere, tanto che a san Mauro ve ne erano addirittura tre, a fare questo lavoro.
Il procedimento per fabbricare le corde consisteva in poche operazioni di base.
Dapprima bisognava realizzare singole cordicelle : una persona cominciava a legare a una ruota le filacce di un mazzo di fibre grezze e mentre indietreggiava,un’altra girava la manovella in modo che le filacce arrotolandosi prendevano la forma cordicella.
Successivamente ,diverse di queste cordicelle , generalmente tre,venivano unite ad un robusto gancio girevole e si ripeteva il procedimento, usando una ruota più robusta, per ottenere la torcitura e la formazione delle corde, alcune anche molto lunghe e di grande spessore.
Una volta intrecciate e fermate, le corde venivano spesso ammorbidite con del grasso di maiale e poi avvolte in rotoli o matasse.
Il cordaio aveva una sua bottega dove vendeva spaghi, corde e altri attrezzi,ma era uno di quei lavori che si faceva all’aperto, lungo una strada o un campo oppure lungo l’argine dei fiumi, in quanto occorreva molto spazio in lunghezza e un luogo sterrato dove conficcare le forche che servivano a sostenere le corde da terra e tenerle ben tese, in modo che non si formassero irregolarità non volute.

venerdì 8 luglio 2011

La camomilla : l'erba del buon sonno.


In ogni parte della nostra campagna, lungo i sentieri , le siepi e i prati non contaminati dalla civiltà meccanica, vivono moltitudini di piante arbustive ed erbacee, dotate di preziose proprietà medicinali.
Tra questi,la camomilla è uno dei primi fiori che ricordo e anche il suo profumo è tra i primi della mia memoria, alla pari, forse, con quello del fieno a seccare al sole.
Da piccola ero affidata a mia nonna, e d’estate ,ogni tanto , si andava a raccogliere la camomilla in certe zone dove cresceva spontanea,e ve n’era in grande quantità, uno spettacolo a vedersi!
Poi a casa si staccavano i capolini bianchi ,separandoli dalle foglie,e si mettevano su un telo a seccare all’ombra e ogni tanto mia nonna mi mandava a rimescolarli e a distenderli di nuovo.
I fiori della camomilla, una volta ben seccati, venivano conservati in barattoli di vetro e d’inverno non c’era sera che noi bambini non trovassimo la nostra tazza fumante piena di un bel liquido giallo che niente ha a che fare con la camomilla in busta di oggi.
Mia nonna , oltre che come infuso, la usava per un olio che serviva per le mani screpolate, mettendo a macerare i fiori a bagnomaria in poco olio e pestando e filtrando poi il tutto.
Ma il procedimento purtroppo non lo conosco, cose di una volta, quando le creme e le pomate di bellezza in campagna non si compravano ma si cercava di farsele da se….

domenica 3 luglio 2011

Minestra di maltagliati coi piselli.



In una realtà , come quella contadina di una volta,in cui la minestra in brodo compariva in tavola un giorno sì e uno no,d’estate si cucinava molto spesso aggiungendo i piselli freschi.
Al posto del brodo di carne,in una pentola si faceva un soffritto con la cipolla tritata, pancetta o prosciutto,in poco olio,si aggiungeva acqua e conserva e vi si facevano cuocere i piselli.
Intanto si era fatta una sfoglia , preferibilmente con le uova, che si era tagliata a rombi irregolari,chiamati appunto maltagliati.
Quando i piselli erano cotti si versavano nel brodo i maltagliati e si cuocevano pochi minuti, poi
si scodellava la minestra nei piatti e spesso vi si aggiungevano dei pezzi di pane raffermo, che si gonfiavano insaporendosi e rinforzavano la pietanza, tanto più che poi non sempre c’era una seconda portata…!

sabato 2 luglio 2011

Canta la cicala.......


La Zghèla la n’chenta miga, se San Zvan e San Pir in la stuziga”.

Perché la cicala canti, ha bisogno di essere stimolata dal caldo di giugno, ma è luglio il centro del suo lavoro.
Sulla cicala i contadini cantavano con dolore la loro vita di stenti e di fatica:
In piena estate, dalla tarda mattina fino a quando il sole calava, tra le piante dell’aia e in quelle dei campi, si sentiva la cicala con il suo monotono canto.
Erano miriadi, che portavano il loro ronzio nelle silenziose campagne e nelle corti delle case coloniche.
Però il suo canto diventava di troppo per chi andava a riposare nelle ore più calde dopo il pranzo di mezzogiorno ,e per chi era stanco e aveva sonno.
La moltitudine delle cicale era un coro molto disturbatore, ma anche molto allegro.
Si riunivano quasi sempre negli alberi poco distante alle case, perché era più facile trovare acqua per dissetarsi nelle vasche o nelle pozzanghere.
Sulla cicala dalla vita corta, di tre giorni, chiamata in campagna “dai-dai,hanno scritto in molti favole, poesie e cantilene, una delle quali,di origine contadina recita così:

“La chènta la zghèla : taja, taja! E’ grèn a e’padròn, a e’ cuntadèn la paja,
La chenta la zghèla a e’ zgalèn, e’ grèn a e’ padron , la paja a e’cuntadèn.